Inizialmente, vale a dire sino allo scoppio della guerra, apparentemente l'obiettivo principale del nazismo e di Hitler consistette nel rendere il Reich "judenfrei" vale a dire "libero dagli ebrei". Il sistema prescelto per "ripulire" la Germania dagli ebrei fu, in questa prima fase, costringerli ad emigrare. Rendendo loro intollerabili le condizioni di vita attraverso una legislazione sempre più oppressiva, si cercava di spingerli verso un esodo definitivo all'estero. Il bilancio di questa fase che va sostanzialmente dal 1933 al 1939, non fu tuttavia coronato da successo.
Dei 520.000 ebrei tedeschi che vivevano in Germania nel 1933, ne rimanevano 350.000 nel 1938. Ma in quello stesso anno con l'annessione dell'Austria i nazisti si trovarono a dover "gestire" anche i 190.000 ebrei austriaci.
Riuscire a far emigrare altri 540.000 ebrei apparve un'impresa impossibile. Ad ogni espansione della Germania nazista il numero degli ebrei cresceva e le nazioni estere non furono in grado o non vollero assorbire l'ondata di emigrazione ebraica proveniente dal Reich. La soluzione "emigrazione" alla vigilia della guerra appariva sostanzialmente fallita.
Nacque allora l'idea di ampliare il concetto stesso di deportazione trasferendo forzatamente in un luogo distante gli ebrei tedeschi. Il luogo venne individuato nell'isola di Madagascar. All'epoca il Madagascar era una colonia francese e, per rendere possibile il piano, occorreva sottoscrivere un accordo diplomatico. Nonostante i numerosi colloqui non si raggiunse alcun risultato positivo. Con la sconfitta della Francia questa ipotesi tornò in auge.
La resistenza della Gran Bretagna tuttavia impediva la realizzazione del progetto. In più nel 1940 la situazione era drammaticamente mutata: non si trattava più di far emigrare 520.000 ebrei tedeschi, occorreva sbarazzarsi anche degli ebrei polacchi che assommavano a 2.000.000 di persone. Nel febbraio 1941 Hitler discusse il problema con il consigliere del lavoro Ley.
Dal diario personale di Gerhard Engel (un ufficiale che prestava servizio presso il quartier generale del Führer) sappiamo che Hitler aveva ancora in mente l'idea dell'emigrazione forzata anche se questa andava presentando sempre maggiori difficoltà a causa della guerra. Hitler ammise che all'inizio aveva affrontato il problema pensando soltanto agli ebrei che vivevano nel Reich. Ora l'obiettivo era diventato più ambizioso: l'influenza ebraica doveva essere eliminata da tutti i territori sotto il controllo dell'Asse.
Hitler a questo punto sostenne che occorreva riprendere in mano la questione del Madagascar con i francesi. Martin Bormann chiese come si sarebbe potuto trasportare così tanti ebrei in un luogo così distante vista la presenza della flotta inglese. Hitler ribatté che occorreva studiare la questione e si dichiarò disposto a usare l'intera flotta se necessario ma non voleva esporre i marinai tedeschi ai siluri inglesi. Ora però "pensava a ogni cosa, da un punto di vista diverso, e non certo con maggiore simpatia" [verso gli ebrei]. Hitler pensava cioè ad altre possibili soluzioni.
A causa della guerra il problema si era aggravato ulteriormente. L'invasione del Belgio, dell'Olanda, della Francia, della Danimarca e Norvegia aveva fatto aumentare ulteriormente il numero degli ebrei caduti nelle mani del nazismo. L'obiettivo prioritario, rendere judenfrei la Germania, si era allargato a dismisura: si trattava ora di rendere judenfrei l'intera Europa.
La soluzione non poteva più essere quella di far emigrare gli ebrei all'estero. Si fece così strada un'altra soluzione: deportare gli ebrei europei all'Est concentrandoli nei territori polacchi occupati. In questa operazione di concentramento dovevano essere coinvolti ovviamente anche gli ebrei polacchi.