La mia carissima moglie
Rivka ed io, siamo lieti di vedervi tutti qui e spero che possiate apprezzare
il concerto anche in una sala così affollata.
Eminenze, Eccellenze,
Monsignori, Colleghi, Cari Amici,
Benvenuti al
Sessantaquattresimo Anniversario dell’Indipendenza dello Stato d’Israele, qui,
nella sede dell’Accademia Tedesca, Villa Massimo, la cui storia vi invito a
leggere sul programma che avete ricevuto. Mi sembra opportuno ricordare che il
luogo in cui siamo riuniti fu donato, oltre cento anni fa (per essere precisi,
nel 1910) dal filantropo ebreo tedesco Eduard Arnhold, al suo governo. Egli non
solo promosse le opere culturali, gli artisti e gli autori del suo tempo ma,
attraverso la donazione di questa casa della cultura, egli pose le basi per una
tradizione giunta fino ai nostri giorni.
Di fatto noi siamo qui,
oggi, per ascoltare un concerto che sarà eseguito da tre musicisti: gli
israeliani Yehezkel Yerushalmi, al violino e Guy Eshed al flauto e l’italiano
Francesco Giorgetti, al pianoforte. Sono, pertanto, molto lieto che noi
israeliani possiamo realizzare parte dell’eredità lasciata dal Signor Arnhold.
Desidero, innanzitutto,
ringraziare il Direttore dell’Accademia, Dr. Joachim Blüher, che ci ospita qui,
oggi, per celebrare il Giorno dell’Indipendenza dello Stato d’Israele. Un
doveroso ringraziamento va anche al suo staff, in particolare alla signora
Agnese Picari, per la sua fattiva collaborazione.
Potrei parlarvi a lungo,
in questa occasione solenne, dei progressi e dei successi dello Stato d’Israele
nei campi della scienza, dell’economia e della cultura.
Tuttavia, desidero
condividere con voi altre riflessioni ispirate da un recente evento: lo scorso
ottobre il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha donato a Papa Benedetto XVI un
albero di ulivo, piantato, con solenne cerimonia, nei Giardini Vaticani, grazie
all’assistenza del KKL.
L’ulivo, che troviamo
per la prima volta nella Bibbia nel racconto di Noè e della sua arca, assume
nel Libro dei Libri una valenza universale di rinnovamento, di speranza di un
futuro prospero, di fratellanza fra gli uomini e di armonia fra l’uomo, la
natura e il creato. Non per nulla l’ulivo è divenuto simbolo di pace grazie
alla colomba.
L’albero di ulivo, che
ha messo profonde radici nella nostra regione, è da noi comunemente percepito
come caratteristico del paesaggio e della terra d’Israele. Si può quasi
affermare che si sia creata una sorta di intimità fra il paesaggio del nostro
paese e gli abitanti del suo territorio. Inoltre, il fatto che l’albero d’ulivo
sia cresciuto spontaneamente in tutte le aree intorno al Mediterraneo,
contribuisce a renderlo un comune anello di congiunzione. Anche se non sempre
notiamo l’elemento di comunanza, esso dà, a noi abitanti d’Israele, la speranza
che, alla fine, la quiete e la pace saranno patrimonio anche del nostro paese e
della nostra regione.
Desidero aggiungere che,
non a caso, durante la visita del Pontefice in Israele, Papa Benedetto XVI e il
Presidente Shimon Peres hanno piantato insieme, a Gerusalemme, nel giardino
della residenza del Presidente, un albero d’ulivo. Non a caso, nel corso della
sua visita alla sinagoga di Roma, Papa Benedetto XVI ha piantato un albero d’ulivo.
E, non a caso, un albero d’ulivo di 400 anni, proveniente dalla Galilea, è
stato piantato nei giardini del Papa, sul colle Vaticano, lo scorso mese di
ottobre.
Questa piantumazione ha
voluto essere un segno della nostra stima per l’amicizia del Papa e per il
progresso delle relazioni fra lo Stato d’Israele e la Santa Sede. Insita in ciò
è anche la speranza di una sempre maggiore apertura nelle relazioni fra ebrei e
cattolici che, di generazione in generazione, perdurano da secoli, poichè ci
troviamo nel pieno di un lungo processo di riconciliazione storica.
Non mi rimane che
concludere con l’auspicio e la speranza che lo Stato d’Israele continui a
dimorare all’ombra dell’ulivo, persista nella sua prosperità e nella pace e
sicurezza dei suoi abitanti.
Buona festa.